Avete presente il tric trac, o raganella da stadio? È quello strumento musicale fatto con un bastoncino attorno al quale, agitandolo, si fa girare una lamina, producendo un suono secco e spezzettato. Aristotele la consigliava ai genitori per ipnotizzare i figli piccoli, in modo che non distruggessero oggetti in giro per casa. L’inventore della raganella da stadio è Archita di Taranto, vissuto tra il 428 e il 360 avanti Cristo, pitagorico e amico personale di Platone. Secondo quella che potrebbe essere solo una leggenda, è anche l’inventore di una colomba di legno in grado di volare, forse grazie a un sistema di contrappesi e aria compressa.
Il Mediterraneo antico non si limita a immaginare gli automi della mitologia. Sulla costa opposta a Taranto, Alessandria d’Egitto vanta una superba scuola di ingegneri, che aveva mosso i primi passi nel terzo secolo avanti Cristo con Ctesibio, inventore anche lui di uccellini meccanici oltre che di gadget notevolissimi come l’organo a canne, un orologio ad acqua con il sonoro, e un’arma ad aria compressa che pare fosse discretamente potente. Poi era stata la volta di Filone, bizantino di nascita e attivo ad Alessandria; sulla base dei suoi scritti è stata ricostruita la cosiddetta Serva automatica, una ginoide in grado di versare il vino; la si può ammirare al Kotsanas Museum of Ancient Greek Technology.

Erone di Alessandria, Automata 13: Schema di una macchina automatica, una figura di Bacco che distribuisce vino e latte in un piccolo tempio. La figura è collegata da tubi invisibili a serbatoi nascosti di vino e latte. Venezia, Biblioteca Marciana. Immagine di pubblico dominio via Wikimedia Commons

Erone di Alessandria, Automata 13: Schema di una macchina automatica, una figura di Bacco che distribuisce vino e latte in un piccolo tempio. La figura è collegata da tubi invisibili a serbatoi nascosti di vino e latte. Venezia, Biblioteca Marciana

Mori della Torre dell'orologio, XV secolo, Venezia. Foto di dennis Jarvis, CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons

Mori della Torre dell’orologio, XV secolo, Venezia

E infine Erone, il più famoso di tutti, attivo durante il primo secolo; nei suoi trattati, Erone oltre a illustrare una gamma di macchine basate sulla pressione dell’acqua e dell’aria, che mettono in scena un Ercole alle prese con draghi o serpenti e fontane con i consueti uccelletti capaci persino di bere spontaneamente, spiega come realizzare teatri automatici fissi o mobili: fisso è il teatro con fondali che cambiano e figure bidimensionali che agiscono accompagnate da effetti sonori, tutto ottenuto mediante l’uso di pesi e clessidre; mobile è il teatro in grado di coprire gli spazi da solo per poi eseguire il programma in autonomia. Nei trattati Erone si raccomanda anche di farle abbastanza piccole, queste macchine, in modo che sia chiaro che al loro interno non ci sia nascosto nessuno. È una faccenda sulla quale torneremo.
«Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia», recita la terza legge di Arthur C. Clarke, l’autore del romanzo 2001: Odissea nello spazio, e durante il Medioevo l’automa è guardato con il sospetto riservato a tutto ciò che puzza di zolfo. Di zolfo puzzano anche la straordinaria erudizione, la carriera fulminea e le frequentazioni saracene di Silvestro II, il papa che varca l’anno Mille. Infatti si dice che sia un mago. Secondo Guglielmo di Malmesbury, un monaco vissuto un secolo dopo di lui, papa Silvestro aveva creato una testa parlante. Lo storico americano Lynn White ipotizza che potesse trattarsi di uno dei primi esperimenti sul riscaldamento dell’aria.
A un «capo di creta» che «proferiva alcune parole» accennerà anche un giovane Leopardi nella Dissertazione sopra l’anima delle bestie, ma non in relazione a papa Silvestro, bensì ad Alberto Magno, frate domenicano tedesco, filosofo, maestro di Tommaso d’Aquino. La leggenda di un automa di Alberto Magno – a volte solo la testa, a volte un intero androide – continua ancora oggi a rimbalzare tra manuali di filosofia e libri sulla storia dei robot. Il primo a parlarne è stato forse Matteo Corsini nel suo Rosaio della vita, opera del 1373; qui Corsini racconta che un confratello di Alberto, chiamando il filosofo dall’esterno della cella, si sentì rispondere dall’automa. Corsini scrive che il frate, «credendo che fosse idolo di mala ragione, lo guastò. Tornando frate Alberto, gli disse molto male, e disse che 30 anni ci avea durata fatica». Un secolo dopo, Alonso Tostati scrive che quel frate zelante era lo stesso Tommaso d’Aquino, il quale evidentemente non aveva preso molto bene quel traffico del maestro con le scienze del maligno.
Però si sa: l’umanità non conosce il tempo ma adora gli orologi. E così già dal tardo Medioevo iniziano ad andare forte i jacquemart, gli automi martellatori di campane, come quelli di San Marco a Venezia, e più tardi, di pari passo con una visione del mondo sempre più meccanicista e la concezione di un Padre Eterno sempre più orologiaio, iniziano a circolare i discorsi dei filosofi razionalisti, come Cartesio, per il quale gli animali sono nient’altro che robot di carne, un pensiero che culminerà nel 1747 con la pubblicazione dell’Homme-machine di Julien Offray de LaMettrie, che dalla dottrina di Cartesio trae l’unica conclusione logica possibile: non solo i gatti, tutti siamo robot.

L'anatra di Vaucanson, illustrazione esplicativa tratta da Scientific American, 1899. Immagine di pubblico dominio via Wikimedia Commons

L’anatra di Vaucanson, illustrazione esplicativa tratta da Scientific American, 1899

Nel frattempo il secolo dei lumi pullula di androidi che fanno cose. C’è il flautista di Vaucanson, c’è lo scrivano di Jaquet-Droz. E c’è l’anatra digeritrice, sempre di Vaucanson, una papera che non solo beve, spiega le ali e allunga il collo per ingurgitare cibo, ma fa anche i suoi bisogni, o almeno finge: in realtà Vaucanson preinstalla i bisognini in una cameretta interiore, diversa da quella in cui finisce il cibo. La tecnologia sembra ancora un modo di fare illusionismo, o forse, a giudicare dalla quantità di androidi realmente funzionanti, il Settecento crede così tanto nella tecnica che a volte si concede il lusso di rappresentarne le potenzialità prima di riuscire a realizzarle effettivamente.
Certo quello dell’anatra non è l’unico caso. Nel 1769 compare il Turco di Wolfgang Von Kempelen, un androide che gioca a scacchi, un busto umanoide appoggiato a un cassone largo un metro, alto e profondo mezzo metro, sul quale è disposta la scacchiera. Solo che il Turco non gioca davvero a scacchi: all’interno del cassone, nel corso degli anni, si avvicendano abili giocatori di piccola statura, probabilmente mutilati, che muovono di nascosto il braccio del presunto automa. La storia del Turco di Kempelen sembra scritta da un narratore postmoderno: batte Benjamin Franklin, diverte e irrita Napoleone, viene smascherato negli Stati Uniti da Edgar Allan Poe, il quale, dalle pause in partita e dalle sconfitte troppo umane, intuisce il trucco. Kempelen, del resto, non aveva mai affermato che il suo pupazzo fosse qualcosa più che un gioco. Studioso serissimo, ha dato il meglio di sé con l’invenzione di una macchina da scrivere destinata ai non vedenti e di una macchina parlante, primo esperimento di sintetizzatore vocale. Ma la fama, come sapeva il poeta, è implacabile, e quando oggi si parla di Kempelen, lo si fa quasi sempre per quell’individuo nascosto sotto al manichino. Erone lo aveva detto – fatele piccole, le macchine, in modo di escludere che vi sia nascosto qualcuno – e Kempelen quella raccomandazione l’aveva anche seguita, o quanto meno aveva cercato un compromesso.

Il Turco giocatore di scacchi, illustrazione da Ueber den Schachspieler des Herrn von Kempelen, di Joseph Racknitz, 1789. Immagine di pubblico dominio via Wikimedia Commons

Il Turco giocatore di scacchi, illustrazione tratta da Ueber den Schachspieler des Herrn von Kempelen, di Joseph Racknitz, 1789

Bibliografia:
Monica Pugliara, Il mirabile e l’artificio. Creature animate e semoventi nel mito e nella tecnica degli antichi, L’Erma di Bretschneider 2003
Silvia Milani, Universal Robots. La civiltà delle macchine, Delos 2015
Serena Zonca, Robot, androidi e cyborg. Dal mito alla fantascienza, autoproduzione 2015
Immagine di copertina: Il Turco giocatore di scacchi, illustrazione da <cite>Ueber den Schachspieler des Herrn von Kempelen</cite>, di Joseph Racknitz, 1789. Immagine di pubblico dominio via Wikimedia Commons

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